13 maggio 2020

Enrico Sicignano ricorda Vittorio Gregotti Un Maestro che non volle essere "archistar"

Intervista della Presidente della Fondazione Ordine Ingegneri Napoli, Paola Marone

Ciclo di interviste promosse dai gruppi di lavoro della Fondazione:
- FUGA DEI CERVELLI

Coordinatore:  Andrea Rodriquez
Vice Coordinatore: Cesare Bizzarro

- SOCIALITA’ URBANA E DINAMICHE DEMOGRAFICHE
Coordinatore: Veronica Maio
Vice Coordinatore: Fabio Romano


Un protagonista dell'architettura contemporanea, un Maestro grande e umile, il cui insegnamento fa del rispetto delle radici uno dei suoi capisaldi. Così il Professor Enrico Sicignano (Ordinario di Architettura Tecnica all'Università di Salerno) ricorda Vittorio Gregotti nell'intervista che segue, rilasciata alla presidente della Fondazione Ordine Ingegneri Napoli, Ingegner Paola Marone.
Completano l'intervista alcune note sul docente intervistato e un breve profilo di Gregotti.


Professor Sicignano, la sua straordinaria esperienza in campo internazionale e la sua profonda conoscenza della figura e dell’opera di Vittorio Gregotti, strappatoci dal Covid all’età di 92 anni, possono aiutarci nell’interpretare e condividere le preziose testimonianze di vita e architettura che ci ha lasciato in eredità il Maestro. Molteplici sono le opere per le quali va ricordato: lo stadio di Genova, lo stadio di Barcellona, il nuovo quartiere residenziale di Shangai, il teatro degli Arcimboldi di Milano e il controverso quartiere Zen di Palermo. Qual è il suo ricordo di Gregotti, tanto sotto il profilo umano che professionale?
Inizio con il sottolineare una felice coincidenza e una unilaterale, personale comunanza che mi ha fatto sentire, nel mio piccolo, accanto a Vittorio Gregotti: nel 1952, l’anno in cui egli si laureava a 24 anni al Politecnico di Milano, io venivo a questo mondo. Vittorio Gregotti apparteneva ai Maestri dell’Architettura Italiana della cosiddetta “Seconda Generazione” quella di Gae Aulenti, Carlo Aymonino, Giancarlo De Carlo, Roberto Gabetti e Aimaro Isola, Nicola Pagliara, Paolo Portoghesi, Aldo Rossi, ma tra essi era obiettivamente una figura di spicco. Quali erano gli aspetti più rilevanti che lo caratterizzavano? Gregotti era una personalità complessa e completa, di ascendenza rinascimentale, ad ampio spettro che riuniva in se, con straordinaria coerenza e continuità, sapere e saper fare, con una identità inscindibile sia della dimensione teoretica, sia di quella pratica e dell’agire. Dominava con padronanza assoluta tutte le scale del progetto, da quella urbana fino a quella edilizia e del minimo dettaglio e del particolare costruttivo. Dal 1982 al 1986 diresse con autorevolezza la storica rivista Casabella, fondata nel 1928 e alla cui guida si era precedentemente avvicendato il gotha dell’architettura italiana: Giuseppe Pagano, Edoardo Persico, Franco Albini, Ernesto Nathan Rogers, Alessandro Mendini, Tomàs Maldonado, Vittorio Gregotti e quindi dopo di lui Francesco Dal Co.

Come sintetizzerebbe l’esperienza professionale di Gregotti alla guida di Casabella?
Sotto la sua direzione la rivista Casabella fu innanzitutto un progetto culturale messo in atto chiamando a sé le migliori intelligenze a livello nazionale ed internazionale con un acceso dibattito sull’Architettura e sulla città, ma riportando sempre il tutto sulla centralità del progetto contestualizzato. Gregotti ha scritto, ha insegnato, ha progettato, ha costruito. Lunghissimo è l’elenco delle opere realizzate in Italia e all’estero, alcune già da lei citate.
Vastissima è anche la sua produzione scientifica con decine e decine di testi, saggi, tra cui ricordo solo a titolo di esempio: “Il territorio dell’Architettura”; “Dentro l’Architettura” (di cui mi fece personalmente omaggio con dedica alla presentazione a Milano); “Le scarpe di Van Gogh -Modificazioni nell’Architettura”; “Tre forme di architettura mancata”; “I racconti del progetto”, “Contro la fine dell’Architettura” e tanti, tanti altri.

In una delle ultime dichiarazioni rilasciate, Vittorio Gregotti affermava “Ormai ci chiedono solo meraviglie. Ai giovani vorrei invece dire di non allontanarsi dalle nostre radici”. Il gruppo di lavoro “Fuga di cervelli” della Fondazione Ordine Ingegneri Napoli si interroga, anche attraverso preziose testimonianze, sui problemi che devono affrontare oggi i giovani laureati. Che cosa ci ha insegnato, sotto questo profilo, Gregotti?
“Se vuoi essere universale, parla della tua terra” diceva Lev Tolstoj. Vittorio Gregotti ha sempre lottato contro l’Architettura dell’International Style (quello dell’Architettura uguale dovunque, per intederci), codice omologato ed asfittico del tardo Movimento Moderno per perseguire invece un’Architettura attenta alle peculiarità dei contesti storici, al “Regionalismo Critico” di Kenneth Frampton in cui i concetti di topos, typos e tekton (luogo, tipo e maestro d’arte) sono imprescindibili. Illuminante è una sua affermazione: “Io considero il pensiero del processo progettuale soprattutto (…) in quanto presa di coscienza e selezione dei materiali nel senso più ampio del termine, non solo quelli connessi alla tecnicità della costruzione ma allo stesso contesto fisico, storico politico, e alle relazioni con il soggetto che agisce”.
Il contesto quindi è  il fattore che viene in principio e che determina il processo.
Gregotti ha sempre combattuto la liquefazione in atto dell’Architettura, accerchiata, minacciata e assediata da altre discipline quali il Design, le Arti Visive, il mondo della Moda e della Comunicazione, e così via, nelle quali talvolta si confondono i mezzi con i fini. Ha difeso l’Architettura quale disciplina autonoma che conferisce qualità estetica alle funzioni date e ai vincoli imposti (qualsiasi essi siano), radicata al suolo, inserita nel contesto, portatrice di messaggi e di valori autentici lungo l’inesauribile filo rosso della Storia. Trasformare l’Architettura in stupore, spettacolo: questo è quanto molti progettisti oggi fanno e che moltissimi “utenti - consumatori – spettatori”, a loro volta reclamano. Inoltre nel mondo attuale della globalizzazione economica, sociale, culturale, l’Architettura è sempre di più il parto eccentrico di narcisistiche archistar, nuove e intoccabili “divinità egiziane” alle quali è consentito ogni capriccio.

Da ritratto che lei ne delinea, quella di Gregotti sembra una figura agli antipodi rispetto a quelle degli attuali “archistar”.
Certamente: Vittorio Gregotti non era, non è mai stato e non avrebbe mai voluto essere un archistar. Era invece un Maestro nel senso più autentico ed alto nel termine, quello che rappresentava e rappresenta un modello ed un punto di riferimento certo, quello che ti porti dentro tutta la vita, quello che alternava quotidianamente progetto e cantiere, università e operatori del processo edilizio (imprese, artigiani, addetti ai lavori), in una dimensione e rapporti umani che oggi non ci sono più. Amava lavorare in silenzio, lontano dai riflettori dei mass media e dello star system, senza mai autocelebrarsi, in alcuni casi con comportamenti di disarmante modestia e profondissima umanità.

Per esempio?
Un episodio è eloquente. Nel 2005 a Roma, in occasione di una premiazione di progettisti e imprese organizzata dall’Ance, a Gregotti toccò il compito di conferire il premio alla carriera a Luigi Caccia Dominioni (1913 - 2016) l’ultra novantenne, prestigioso architetto milanese. Vittorio Gregotti confessò in pubblico di averlo eletto, fin da giovane, a suo Maestro e di averne ammirato da sempre le competenze e la grande professionalità, di aver imparato da ogni sua opera, da ogni suo minimo dettaglio. Durante questa presentazione scoppiò in lacrime e per la forte emozione non riuscì a concludere. A questo punto tutti ci levammo in piedi e ci fu una lunga, meritata ovazione da parte della platea. Capii in quel momento che dentro quel grande architetto c’era anche un grande uomo che quella sera stava dando a me e a tutti, una vera, indimenticabile lezione di vita.
 
Se Gregotti suggerisce ai giovani di ancorarsi alle proprie radici culturali, rinvenendo nella memoria e nella storia dei luoghi uno dei più preziosi materiali del progetto, c’è da chiedersi quanto il radicamento ad un territorio costituisca, in generale, una preziosa risorsa da tutelare. Una tale affermazione, evidentemente, travalica i confini dell’architettura, acquistando significato e valore in diversi campi culturali e professionali.
In quest’ottica il Gruppo di Lavoro della Fondazione si interroga sulle motivazioni che hanno spinto 28.000 giovani laureati - come rilevato dall’Istat nel 2017 - a lasciare i propri territori.
Le ripropongo allora la domanda che si poneva il grande filosofo Aldo Masullo, recentemente scomparso (
in una recente intervista a cura della Fondazione - Ndr). "Ritengo che occorra chiedersi - diceva Masullo: che cosa bisogna fare perché un giovane, il quale abbia deciso di vivere esperienze operose lontano dal Sud, trovi il coraggio di ritornare. Beninteso - puntualizzava Masullo - fare esperienze, lavorative e formative, lontano dal proprio territorio, non è affatto un male, anzi”. E dunque, qual è il ruolo sociale che deve svolgere l’architettura non solo per la tutela e lo sviluppo del territorio, ma anche per la valorizzazione del capitale umano rappresentato dai nostri giovani laureati?

Vittorio Gregotti ha da sempre rappresentato il vertice di una peculiarità dell’Architettura italiana, moderna e contemporanea: il rapporto con la tradizione, con le radici, con il genius loci, con la storia, con la storia dei luoghi, con la poetica dell’ascolto. Questa capacità e sensibilità è cifra tipicamente italiana, praticamente sconosciuta nel mondo anglosassone, soprattutto quello nord – americano, giovane e senza storia e pertanto disinteressato e indifferente a questi valori. Alla fuga dei cervelli e dei giovani bravi, occorre provvedere da parte di chi governa e amministra la “res publica” a tutti i livelli, con politiche non assistenzialistiche, ma con scelte che mettano in atto grandi investimenti sulla ricerca e sulla innovazione tecnologica (che sono alla base della vita del mondo produttivo e del suo continuo aggiornamento), sulla digitalizzazione, sul BIM come aggiornata metodologia progettuale e di archiviazione-inventario dell’esistente e ancora occorre puntare sulla valorizzazione delle risorse del territorio (paesaggio, cultura, turismo, agricoltura, zootecnia per le aree interne , infrastrutture, messa in sicurezza del patrimonio edilizio e territoriale, e così via). Insomma, c’è tanto,tanto da fare.
Le risorse e il “capitale umano” qualificato ci sono e lo si nota da quanta strada fanno i nostri bravi giovani quando vanno all’estero, ottenendo anche lusinghieri riconoscimenti e i posti, anche di grande prestigio, che spesso essi occupano. Si richiedono due cose contemporaneamente vicine e lontane: stare attenti ai propri passi, non inciampare e guardare lontano, proprio come egli nell’arco della sua vita ci ha insegnato.
Un antico proverbio etiope recita: “… se vuoi arrivare primo corri da solo, se vuoi andare lontano cammina insieme”.

Il suo ultimo ricordo del Maestro?
Il mio ultimo e felice incontro con Vittorio Gregotti è avvenuto alla Triennale di Milano, alla premiazione della Medaglia d’Oro dell’Architettura Italiana 2012, quando mi ha conferito la Menzione d’Onore per le Residenze Universitarie nel Campus di Fisciano dell’Università degli Studi di Salerno. Onore più grande non poteva capitarmi nella vita.

Ed ecco un breve curriculum del Professor Enrico Sicignano
Architetto, si laurea a Napoli nel 1977 con il massimo dei voti e la pubblicazione della tesi svolta in Progettazione Architettonica.
Tra ricerca e mestiere pratica l’Architettura e la insegna quale Professore Ordinario di Architettura Tecnica nell’Università degli Studi di Salerno.
E' membro della Society of Architectural Historians - Chicago.
Nel quadro degli scambi culturali ed istituzionali tra Italia e Stati Uniti, è stato più volte invitato quale Visiting Professor e Visiting Lecturer in Università americane a tenere lezioni e conferenze presso:
la Northeastern University di Boston, 1998;
l’ Università dell’ Oregon, Eugene, 2003;
il M.I.T. - Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, 2004 e 2009;
l’ Illinois Institute of Technology di Chicago, 2009 e 2010;
ed inoltre presso:
la Universitat Politècnica de Catalunya, Spagna, 2002;
la China Academy of Art ad Hanghzou, Cina, 2018;
la Summer School “Sustainable Construction from Traditions to Innovations”, Riga Technical University, Lettonia, 2018;
l’ Aalto University, Helsinki, Finlandia, 2018;
 l’Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Sevilla, Spagna, 2019;
 l’ Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Valencia, Spagna, 2020.
E' autore di numerose pubblicazioni; scrive su riviste nazionali ed internazionali.
Partecipa a mostre e a concorsi nazionali e internazionali, con riconoscimenti.
Nel 1990 riceve la Menzione Speciale al Premio “LUIGI COSENZA”, Generazione Under 40’.
Nel 2000 consegue il Diploma in “Architettura ed Arti per la Liturgia” - Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, Roma.
Nel 2012 ottiene la MENZIONE D’ONORE per il progetto “Le residenze universitarie nel Campus di Fisciano dell’ Università degli Studi di Salerno” nell’ evento MEDAGLIA D’ORO PER L’ARCHITETTURA ITALIANA ALLA TRIENNALE DI MILANO.
Nel 2015 riceve per lo stesso progetto, la MENZIONE INARCH Campania.

Note su Vittorio Gregotti (fonte: Wikipedia)
Vittorio Gregotti (Novara, 10 agosto 1927 – Milano, 15 marzo 2020)
Laureato in architettura al Politecnico di Milano, Gregotti ha insegnato architettura a Venezia, Milano e Palermo, e animato conferenze nelle università di Tokyo, Buenos Aires, San Paolo, Losanna, Harvard, Filadelfia, Princeton e Cambridge, tra le altre.
Compie la sua prima esperienza lavorativa durante un soggiorno di sei mesi a Parigi nel 1947 dove presso l'importante studio dei fratelli Gustave, Claude e Auguste Perret, lavora per due settimane.
Si laurea in Architettura al Politecnico di Milano nel 1952. Poi continua nel lavoro presso lo studio BBPR (a cui si deve, fra l’altro, l’innovativo grattacielo Torre Velasca, Milano 1958), considerando Ernesto Nathan Rogers il suo maestro.
Nel 1951 firma insieme a Rogers la sua prima sala alla Triennale di Milano per poi sbarcare al CIAM di Londra.
Come Aldo Rossi inizia la sua carriera collaborando con la storica rivista Casabella, diretta da Ernesto Nathan Rogers e di cui diverrà a sua volta direttore a partire dal 1982 fino al 1996. Negli anni '50 partecipa ad un seminario internazionale a Hoddesdon, dove ebbe modo di conoscere Le Corbusier, Ove Arup, Cornelis van Eesteren, Gropius, ma soprattutto il maestro dello stile liberty Henry van de Velde. Dal 1953 al 1968 ha svolto la sua attività in collaborazione con Ludovico Meneghetti e Giotto Stoppino (Architetti Associati).
La sua opera si lega inizialmente a quei movimenti come il Neoliberty di reazione al Movimento moderno ed alla sua interpretazione italiana definita Razionalismo italiano, di questo genere l'esempio più significativo è il palazzo per uffici a Novara del 1960. Giungerà poi, a progettare una megastruttura architettonica per le università di Palermo (1969), di Firenze (1972) e della Calabria (1974).
Gran premio internazionale alla 13a Triennale di Milano nel 1964, Vittorio Gregotti è stato direttore delle arti visive alla Biennale di Venezia dal 1974 al 1976. Nel 1974 crea il suo studio professionale "Gregotti Associati International", che da allora ha realizzato opere in una ventina di paesi. Nel 1999, Gregotti Associati International ha fondato la società Global Project Development, specializzata in progettazione e sviluppo architettonico sostenibile per i paesi in boom turistico, con l'obiettivo di rispettare l'ambiente.
Gregotti è ideatore del controverso progetto del quartiere ZEN di Palermo, di cui anni dopo Massimiliano Fuksas proporrà la demolizione. Gregotti ha sempre dato la responsabilità del fallimento del progetto dello ZEN al fatto che non fosse mai stato ultimato a causa di infiltrazioni mafiose nella fase di appalto.
È morto a 92 anni il 15 marzo 2020 a Milano, a seguito di una polmonite da COVID-19.
Elementi teorici
Come architetto, Gregotti prese le distanze dalle teorie e dai modelli dominanti, ereditati dal movimento moderno, per trovare ispirazione nelle culture locali e regionali. Nei suoi progetti adotta un approccio volto a metterli in relazione con la storia del luogo e non a un'astrazione che mira alla sua riproducibilità in qualsiasi sito.
Gli sono stati attribuiti diversi orientamenti nel suo lavoro. A volte è considerato legato ai nuovi razionalisti italiani, come Giorgio Grassi, riferendosi alle tesi di Jane Jacobs, Robert Venturi e Aldo Rossi, che avevano indotto un riorientamento della creazione architettonica in relazione ai dati del sito, questo già negli anni '60 e '70. L'interesse di questi teorici per la vita urbana e per la pianificazione urbana ha trovato un'eco nei successi dei membri della scuola del Ticino e di Tendenza - nome dato a questo gruppo di architetti storicisti.
I valori ad esso attribuiti si basano su due principi anti-modernisti: da un lato, il rifiuto della tendenza universalizzante del razionalismo modernista e, dall'altro, il potenziamento delle fonti storiche, l'accoglienza delle tradizioni locali nelle logiche dei progetti e costruzione. Questi aspetti sono visibili sia nei progetti della sua agenzia, sia nella sua densa produzione bibliografica.
Opere principali di Vittorio Gregotti
Il territorio dell'architettura (1966)
È un classico della letteratura del XX secolo sull'architettura. In esso, Gregotti discute alcune delle principali domande nella pratica architettonica: la complessità dei materiali da costruzione in architettura, il suo rapporto con la storia, la genesi del concetto di razionalità e la delimitazione della "tradizione dei moderni", la complessità del concetto di tipologia e geografia come tema centrale che costituisce sia il materiale che il motore delle intenzioni del progetto.
Tenendo conto nelle sue riflessioni delle categorizzazioni tracciate in fenomenologia, strutturalismo e semiologia, Gregotti sviluppa una concezione della pratica architettonica che, dice, non viene praticata "come [da un] trattato, ma piuttosto come un esercizio”, volto a definire “il campo di competenza e l'articolazione esistente tra le discipline del progetto architettonico”.
Manfredo Tafuri (Progetti e architettura, 1982) ha scritto che il tema principale dell'opera è il dialogo tra geografia e segni architettonici, imponendo un cambio di scala implicando una nuova metodologia nella progettazione architettonica, di cui la poetica resta la base.
La città visibile (Torino, 1991)
Come scrive lo stesso Gregotti nell'introduzione, "negli ultimi quarant'anni, la trasformazione più significativa derivante dalla critica positiva della modernità nell'architettura è stata il riconoscimento dell'importanza di tener conto del contesto - storico e geografico - nonché di specifici elementi significativi del sito. Il moderno progetto architettonico diventa quindi consapevole della sua stessa natura, un dialogo tra l'esistente e le modifiche che farà. " Questo libro cerca quindi risposte ai problemi posti dal progetto urbano e più in generale dalle trasformazioni che ha subito l'attuale contesto fisico. Tali riflessioni non sono esclusivamente teoriche e sono supportate da esempi di progetti architettonici che riflettono i diversi modi di costruire una nuova città "a partire dalla città stessa e dalla sua storia". Gregotti è guidato dalla convinzione che è sempre possibile "per la cultura della pianificazione urbana e territoriale proporre un nuovo stato di equilibrio", basato sul "riordino e chiarezza, che sono gli strumenti più importanti dell'architettura ".

Editing e note redazionali a cura di Giovanni Capozzi

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